Laboratorio Grafico-Pittorico


“L’educatore che privilegia l’aspetto espressivo dei bambini è certamente un adulto interessato alla loro crescita emozionale…” (R.Santilli)


LE MANI DEI BAMBINI CHE GIOCANO: MANI CHE PARLANO

Le varie forme di attività ludiche, specie se praticate in piccoli gruppi, garantiscono una rilassata concentrazione per ogni singolo bambino e la possibilità, da parte dell’educatore che li segue, di approfondire direttamente i temi dell’osservazione che riguardano il comportamento e le varie forme di apprendimento in modo da sostenerne e valorizzarne i significati valutando i propositi del Progetto educativo.

E’ attraverso le attività di esplorazione e sperimentazione che il bambino può elaborare la realtà e il proprio essere nel mondo. Certe attività in cui predomina la scoperta e la curiosità possono imprimere nel bambino l’impronta di una vera esperienza che lo incoraggia a crearsi quelle condizioni di apprendimento i cui principi di base possono aiutarlo a risolvere piccoli e grandi problemi. Nella sua libera curiosità, incoraggiato nell’esplorazione, il bambino potrà utilizzare oggetti o materiale amorfo come la sabbia, la plastilina o anche l’acqua, per verificarne la consistenza, confrontare le reciprocità e scoprire che non possiedono una forma propria ma che possono assumerle tutte attraverso la manipolazione o nei differenti contenitori, e anche mischiarle insieme creando sempre nuove soluzioni.

La sensazione di piacere che il bambino prova giocando va sostenuta affinché il piacere continui anche dopo. Le mani dei bambini si rendono ogni giorno più sensibili alle cose del mondo trasmettendo i loro messaggi a tutto il sistema psico-somatico che affinandosi compirà operazioni sensoriali, simboliche e cognitive sempre più complesse e cariche di significati.

Fare esperienza dei vari materiali, manipolare sostanze, pasticciare, impastare e formare cose, sono operazioni che promuovono il riconoscimento di ciò che è reale in tutte le differenze. L’esperienza del piacere è data soprattutto dalla sensazione che con l’azione delle loro stesse mani possono modificare la sostanza del mondo a loro piacere seguendo schemi invisibili che, facendo parte della loro intima natura, li rassicurano nel penetrare il segreto della materia padroneggiandola e sentendosi così incoraggiati e fiduciosi in se stessi e nella vita.

Anche il bambino che impugna una matita, un pennarello o un pennello comincia a costruire un cosmo immaginifico e prova piacere nella sua esplorazione, costellando elementi psichici che sottintendono a un’identità inconscia tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’ di cui l’immagine prodotta è mediatrice a anima. Una magia ‘simpatica’ è all’opera dando vita al contenuto interiore attraverso un linguaggio che è prossimo al sogno, mettendo in libertà tendenze individuali improduttive che non pongono limiti alla realtà.

L’universo del bambino che anima la materia inerte fa leva su questi ‘motivi interiori’ che esistono autonomamente come processi inconsci oggettivi. Si tratta di una continua rielaborazione di tendenze istintive che si sviluppano secondo leggi proprie da quella disposizione poetica che viene definita come “fantasia creativa”.

L’educatore che privilegia questi aspetti espressivi del bambino è certamente un educatore interessato alla sua crescita emozionale, libero dal desiderio di “insegnare”. Quando lo sfondo emozionale del bambino è sufficientemente sostenuto e incoraggiato da un adulto competente, si crea un’influenza energetica che amplifica il “pensare per immagini”.



Progetto Scuola dell’Infanzia

“Il solo compito dell’insegnante è insegnare la creatività” (Albert Einstein)


La Programmazione della Piccola Scuola Sperimentale dell’Infanzia de “Le Farfalle” prevede occasioni di insegnamento diretto e indiretto, formale e informale, attraverso sperimentazioni, La progettazione-programmazione deve prevedere un metodo di lavoro che promuove esperienze significative attraverso “rimandi” espressivi, cognitivi e sociali definiti come “lavoro per progetti”, un percorso educativo e didattico poco strutturato all’origine per permettere di costruire insieme ai bambini, gradualmente, occasioni collegate tra loro attraverso un “modello di ricerca” che non intenda solamente definire contenuti, ma intenda suggerire la creazione di contesti a forte valenza relazionale in cui il bambino avrà modo di esprimersi, prendendosi il tempo di respirare e confrontarsi con il momento presente. La progettazione di interventi per la fascia di età tre-quattro anni si occupa di stabilire
percorsi formativi attraverso attività, proposte e occasioni ludiche pensate e preparate in riferimento all’acquisizione o meno, di abilità più specifiche introdotte dal Nido come percorso di continuità.
Particolare importanza rivestono alcune aree relative allo sviluppo armonico del bambino in relazione al suo corpo, al suo stato comunicativo e affettivo, alle sue capacità di esprimersi, verbalmente e con metafore di tipo ‘artistiche’ e, in generale, di interagire creativamente con le cose, le persone e l’ambiente.
Queste Aree dovranno essere osservate, rendicontate, valutate e documentate periodicamente nei loro percorsi. La verifica riguarda l’esito dell’intervento educativo in cui vengono analizzate le condizioni che lo hanno favorito o impedito. Avremo allora alcune aree di sviluppo con i loro rispettivi itinerari didattici da sviluppare che potremmo così rappresentare:

  • Area psicomotoria
  • Area socio-affettiva
  • Area linguistica
  • Area della logica
  • Area dei linguaggi espressivi

AREA PSICOMOTORIA:

  • il controllo degli schemi dinamici e posturali
  • la lateralità (destro- sinistro)
  • la capacità di riconoscere e verbalizzare le diverse parti del corpo
  • l’acquisizione grosso-motoria (corpo ), fine-motoria (dita), e la coordinazione oculo-manuale
  • lo sviluppo di capacità senso-percettive
  • il coordinamento del corpo secondo un ritmo

Itinerario didattico:
Esercizi allo specchio – con la palla – imitativi – esperienze motorie in coppia – impronta del corpo (mappa corporea) manipolazioni (pasta di sale, pongo, farina, riso, sale, polenta, ecc.) – sviluppo tattile (riconoscimento di materiali vari) percorsi motori (a salti, tipo “campana” ,“mondo” , rubabandiera, lupo mangiafrutta ecc.), apparecchiare sparecchiare.

AREA SOCIO-AFFETTIVA:
(obiettivi generali)

  • favorire la comunicazione e il linguaggio formale
  • riconoscimento e corretta pronuncia dei suoni e delle parole
  • rafforzamento delle capacità di ascolto, di comprensione, di memorizzazione
  • sviluppo delle capacità descrittive
  • capacità di decodificazione di immagini

AREA LINGUISTICA:
(obiettivi generali)

  • favorire la comunicazione e il linguaggio formale
  • riconoscimento e corretta pronuncia dei suoni e delle parole
  • rafforzamento delle capacità di ascolto, di comprensione, di memorizzazione
  • sviluppo delle capacità descrittive
  • capacità di decodificazione di immagini

Itinerario didattico:
Filastrocche – assonanze – diminutivi e accrescitivi – riconoscimento dei principali elementi che costituiscono una storia – lettura di immagini e fiabe – Inventare fiabe ed elaborarne gli aspetti.

AREA DELLA LOGICA:
(obiettivi generali)

  • promuovere la capacità di raggruppare, ordinare, quantificare
  • riconoscere forme e grandezze
  • operare corrispondenze e raggruppare elementi uguali e diversi (differenze)

Itinerario didattico:
Suddivisioni – classificazioni – abbinamenti – raggruppamenti – sequenze spaziali – sequenze temporali – sequenze numeriche – giochi ad incastro ( Lego, puzzle,Tangram, ecc.) -Colorare Mandala simmetricamente – Gioco dell’Oca -Disporre oggetti in ordine di grandezza, in ordine cromatico e in gruppetti di un unico genere – Preparare cestini che andranno a contenere ognuno un genere omogeneo di oggetti – Conoscere il nome degli oggetti di cui si dispone -Installazioni di oggetti e costruzioni.

AREA DEI LINGUAGGI ESPRESSIVI:
(obiettivi generali)

  • utilizzare mezzi e tecniche varie per produrre messaggi estetici o stati d’animo
  • esplorare la realtà fisica e rappresentarla con vari strumenti di comunicazione
  • esplorare e conoscere la realtà esterna
  • esplorare i vari mezzi espressivi
  • provare gioia e stupore nell’esprimersi liberamente (con i colori, con i gesti, con i suoni ecc.)
  • partecipare ad attività simboliche e “drammatiche”
  • stimolare l’uso creativo di forme e colori
  • esplorare la realtà sonora
  • usare creativamente materiale amorfo

Itinerario didattico:
Giochi col pongo, la plastilina, la farina, la sabbia ,la terra, sassi, rametti, fiori, varietà di foglie (osservazione, rappresentazione, sviluppo sensoriale), semina e orto (5), ecc. – uso dei colori a dita, delle tempere e di materiale strutturato – pittura con i pennelli – stampe con spugne ecc. – collage liberi e strutturati (forme conosciute) – disegni spontanei – giochi di travestimento e giochi simbolici – giochi con le marionette – danze, canti, balli – giocare ad inventare una storia – giocare a costruire una casa – attività ritmico motorie – filastrocche.

ORGANIZZAZIONE DELL’AMBIENTE E DEGLI SPAZI

L’ambiente (interno ed esterno) è concepito e vissuto come interlocutore educativo che con le sue opportunità sollecita i bambini ad esperienze di gioco, di ricerca e di scoperte e permette di muoversi autonomamente e sperimentare attivamente le proprie abilità e competenze tra coetanei.
Quotidianamente si avrà la possibilità, per tutti i bambini, di avere incontri con più materiali, più linguaggi e punti di vista che valorizzeranno l’espressività e la creatività.
Inoltre, il nostro grande spazio all’aperto permette belle passeggiate, la creazione di un orto biologico, la semina da parte dei bambini, il rastrellamento, la conoscenza delle piante aromatiche, della terra e di tutti gli elementi naturali dell’ambiente extraurbano tanto necessari per combattere l’impoverimento spirituale in un contesto sociale come quello attuale che rischia di mantenerci separati dal nostro ecosistema con cui siamo connessi.

Il nostro progetto

E’ rivolto al sostegno della famiglia e alla cura e
l’educazione del bambino nei suoi primi anni di vita
attraverso la costruzione di esperienze che dal
‘saper fare’ si producano in ‘saper essere’.
Ogni peculiare individualità si sviluppa da tempi e
modi che non dovranno essere anticipati. Per que-
sto motivo un maestro dice: “Se vedete qualcosa
che va corretta, correggetela. Se non c’è nulla da
fare, limitatevi a non fare nulla”.




Documentazione fotografica


Viaggio virtuale attraverso le immagini dell’Asilo Nido “Le Farfalle”



Come è cominciato il Progetto Le Farfalle


Eravamo dei reduci spirituali: i nostri amici “maestri zen” avevano già detto tutto quel che potevano dirci facendoci rimpiangere i più pilotati giapponesi. Nonostante una già consolidata tradizione di maestri zen americani avesse preso il suo posto nella storia dell’Occidente, eravamo ancora scettici, ma il maestro Bernie Glassman scisse un libro sulla storia del suo gruppo di discepoli che ispirandosi agli insegnamenti di un monaco zen giapponese del XIII secolo, dettero vita a una bellissima iniziativa, unica nel suo genere: un panificio organizzato secondo i principi dello zen, che “prospera e lievita” trasformandosi in un’impresa di successo, migliorando la vita di tante persone col loro impegno sociale. Era questa la ricetta che cercavamo: coniugare gli apprendimenti dello zen con il lavoro e il servizio internamente a una pratica spirituale che in virtù di certe esperienze si rivolse poi ai bambini e alle famiglie.

Poiché per lo Zen tutti i fenomeni non sono altro che l’espressione della nostra vita, ci dedicammo alla vita stessa al suo sorgere, cioè all’infanzia. Il Nido “Le Farfalle” nacque dopo altre importanti collaborazioni, attraverso lo sviluppo di una Cooperativa sociale e certi Corsi di formazione da noi condotti sull’arte non oggettiva che condussero poi ad una mostra di disegni infantili. Il Nido pertanto era per noi una delle migliori metafore per esprimere pienamente tutto questo.

La mia formazione mi permetteva anche di sovrintendere all’attività di Coordinatore nel rimurginare il pensiero di un mio altro grande riferimento che da sempre è C.G.Jung, le cui tesi “continuano a influenzare chiunque si ponga come obiettivo la qualità della vita.

Per sedici anni l’Asilo Nido “Le Farfalle” ha portato avanti un lavoro attento e innovativo basato sullo sviluppo della creatività da parte di tutti gli attori della scena educativa.

L’educatore, oggi più che mai, deve dotarsi dei contributi culturali di varie fonti capaci di costruire una rete di conoscenze per indagare e accogliere criticamente i vari linguaggi come elementi rilevanti per l’apprendimento, lo sviluppo della creatività e dell’immaginazione come dinamiche del processo di formazione. Già alla fine degli anni Novanta si parlava di “competenze flessibili e polivalenti” nonché della motivazione personale dell’educatore di essere permanentemente in formazione; non mettere mai fine al proprio processo di autoeducazione. (C.Piazza, 1998)

Tra gli altri, scrissi due libri su questo argomento, “L’educazione e lo Zen” e “l’Autonomia progettata”, proprio per puntualizzare quanto sia importante nella vita di un adulto avere un percorso di autoeducazione, nel “lavorare” su se stessi, e quanto più tale occasione sia prerogativa degli educatori, di coloro cioè che, approfittando di un mestiere di cura e aiuto, possono beneficiare della possibilità di intraprendere e portare avanti un personale processo di autonomia in virtù della riflessione che la pratica educativa offre loro nell’incoraggiare i bambini a sviluppare le loro potenzialità. Nello stesso tempo, l’autoeducazione conquistata torna a propria volta a vantaggio dei bambini.

Nel dotarsi dei contributi culturali di varie fonti, come detto in premessa, per costruirsi una rete di conoscenze pratiche utili anche per la propria vita personale, ma che torna a propria volta a vantaggio dei bambini, l’educatore dovrebbe ritrovare per prima cosa il piacere di esplorare, e farlo con i bambini, come se tutto il cercare, il capire e programmare fosse nato per caso, senza sforzo, come lo sviluppo naturale di un fiore o come il cadere della pioggia; dovrebbe cioè riscoprire la poesia dell’incantamento. Un maestro Zen aveva detto che la cosa importante è riappropriarci della nostra originale mente infinita.

Anche Carla Rinaldi aveva scritto che “gli insegnanti beneficiano delle stesse opportunità di ricerca, scoperta e costruzione della conoscenza a cui sono spinti i bambini”. Le neuroscienze parlano di “neuroni specchio” per definire il processo di percezione e riconoscimento degli atti altrui, nel captare anticipatamente le finalità dei loro gesti e la congruenza tra l’atto osservato e quello eseguito in prima persona, come una sorta di meccanismo di ‘risonanza’, reso possibile da uno schema rappresentativo comune.

Questi processi trasformativi non possono certamente prescindere dal fatto che la predisposizione alla loro attuazione viene acquisita in giovane età. “Lo sviluppo dei neuroni, dei circuiti nervosi e del comportamento dipende sia dal programma genetico individuale che da fattori ambientali.

Lo stimolo ambientale incide significativamente sullo sviluppo del cervello dei bambini; chi lavora con i bambini lavora con la natura umana al suo inizio di vita, lì dove sono le nostre radici e la conoscenza delle origini. L’educatore dunque non ha niente da insegnare nel senso stretto del termine, ma potrà progettare esperienze e favorire gli apprendimenti avvalendosi della sua conquistata e maturata capacità di saper leggere e sentire le emozioni dell’altro. L’empatia dunque, che facilita l’apprendimento e incoraggia alla fiduciosa esplorazione.

LA NOSTRA METODOLOGIA: LAVORARE PER PROGETTI

Il lavoro per progetti è un metodo di lavoro e di intervento educativo controllato e non direttivo, il cui procedimento è un’indagine sui bisogni e le richieste non formalizzate dai bambini ma rilevate dall’occhio attento delle educatrici: qualcosa nella sezione, in un gruppo di bambini, o in un singolo bambino sta prendendo forma, come un bisogno o un’idea non espressa; l’intenzione non riconosciuta del bambino o dei bambini può essere riconosciuta dalle educatrici che allora impronteranno un progetto. Potrà trattarsi di un miglioramento degli spazi perché col tempo si sviluppano nuove esigenze, o potrà essere l’ampliamento dell’offerta ludica perchè certi giochi non suscitano più interesse, ma anche l’uso improprio di un certo gioco o giocattolo ci può suggerire che quel bambino o quei bambini stanno cercando di fare qualcos’altro; oppure si vuole suscitare un certo interesse per un’area tematica ancora sconosciuta ai bambini perchè le educatrici hanno intercettato la possibilità da parte degli stessi bambini di accogliere nuove informazioni, o di sviluppare certe capacità o abilità (per es. riguardo la modalità di modificare aspetti delle routine, ma anche quella di elaborare una fiaba). La griglia di esperienze possibili potrà svilupparsi da quelle precedenti creando nuove possibilità future.

Allora è il momento di progettare un intervento, il più dettagliato possibile, suddiviso in fasi temporali, basato su specifici obiettivi e corredato dal materiale occorrente che verrà utilizzato nelle varie fasi, per indurre un certo gruppo di bambini a fare un’esperienza significativa.

Ma cosa significa “esperienza significativa”? – Significa accompagnare il bambino verso la sua prossima tappa evolutiva (“zona di sviluppo prossimale”) grazie alla comprensione delle esperienze fatte, col corpo e la mente, che gli avranno permesso di procedere ulteriormente; è significativo cioè tutto ciò che è inerente all’ “accrescimento” ; ma significativo è anche fornire ad ogni singolo bambino occasioni di apprendimento, di sviluppo di abilità specifiche e comprensione di fenomeni che, in base all’età, possano accrescerlo soddisfacendolo positivamente, cioè riempiendo la sua misura di soddisfazione personale (autostima) in modo da renderlo sufficientemente autonomo.

Gli obiettivi che un tale procedimento vuole conseguire sono molto spesso già dichiarati nel Progetto educativo generale e riguardano il più delle volte le competenze cognitive, creative e socio-affettive, procedendo dall’iniziale conoscenza dell’ambiente (non è forse l’ambientamento un progetto?), in cui lo sviluppo e il consolidamento di relazioni affettive possa andare oltre i soli genitori; e poi lo sviluppo delle proprie capacità percettive, il riconoscimento delle fasi temporali del Nido (routine), lo sviluppo espressivo-creativo-comunicativo, e non ultimo l’autonomia a tavola e al bagno.

Durante questi processi le educatrici dovranno tendere ad individuare le possibili difficoltà o problematiche legate soprattutto al processo di crescita e benessere dei bambini. Le strutture d’intervento del lavorare per progetti vengono costruite gradualmente in funzione dell’obiettivo da raggiungere, avviando una riflessione professionale sulle strategie e su gli stili da adottare, nonché una verifica in cui sia possibile osservare l’evolversi del contesto, rilevando se, come e quando ogni bambino apporti il suo contributo all’evolversi dell’esperienza e delle competenze che vengono acquisite.

Saper abbandonare l’idea di programmare anticipatamente un intervento che presume di prevedere un percorso e il suo risultato finale, significa assumere un atteggiamento di ricerca in cui la progettualità si auto-costruisce.

L’osservazione dell’attività spontanea dei bambini ad esempio, ci consente di individuare delle “costanti” nei loro atteggiamenti e nelle operazioni che compiono, in modo da tradurle in progetti finalizzati e nella valutazione dei risultati raggiunti, coadiuvata dalla documentazione necessaria a comunicare l’esperienza portata avanti dai bambini e le modalità di attuazione.

Sarà quindi necessario definire per iscritto il perchè dell’intervento (motivazione), il numero dei bambini coinvolti, in cosa consiste, cosa era stato osservato e in che circostanza (contesto), quale obiettivo si vuole raggiungere e cosa si decide di fare (programmazione del percorso educativo e le modalità organizzative necessaria per realizzarlo) e in quanto tempo, trascorso il quale si farà una valutazione del risultato raggiunto o del mancato risultato.



Il cerchio magico

IL GRANDE CERCHIO MAGICO DEI BAMBINI
Un contributo alla psicologia archetipale di percorsi educativi

Nel corso della mia professione di educatore ho avuto molto spesso modo di osservare con grande stupore la libertà espressiva dei bambini, specie se veicolata dalla competenza e dall’entusiasmo dell’adulto che ne apprezza o ne critica con criterio e sincerità totale le pitture e i disegni.

Come pittore e profondo conoscitore dell’Arte, il mio stupore era riferito alla disinvoltura e alla facilità con la quale alcuni bambini potevano concentrarsi e sembravano entrare in un universo di ‘motivi’ interiori espressi attraverso un libero gioco di immagini che seguivano una propria legge interna. Questi ‘motivi’ sono strutture innate proprie della psiche umana che non hanno bisogno di essere evocati o veicolati da particolari Laboratori come si vede a volte in alcune zelanti scuole dell’infanzia. Pur apprezzando certe intenzioni e ritenendole anche interessanti, penso che interpretare alcuni dei famosi artisti del Novecento attraverso una sorta di elaborazione imitativa, non possa offrire al bambino nessun giovamento se prima non è stato aiutato a costruirsi un percorso autonomo basato sulla spontaneità totale. I bambini non hanno bisogno di essere influenzati e contemplare l’opera di altri per esprimere il ricco potenziale di immagini che formano l’infinito tracciato psichico umano, in caso è proprio vero il contrario, e cioè che molti artisti hanno lavorato sodo per svincolarsi dai condizionamenti e dalle categorie dell’età adulta e ritrovare in se stessi, e fuori di sé, quel “paradiso perduto” che è tipicamente patrimonio dell’infanzia. E proprio qui risiede il fascino dell’immediatezza e della purezza. L’opera dei bambini, non ancora formalizzata dalle richieste della società, non è estetica ma emotiva: segni e colori sgorgano spontaneamente dalla fonte primaria dell’essere attraverso quei ‘motivi’ che corrispondono, indisturbati, alla tendenza dell’anima. Nella mia esperienza mi è stata data la possibilità di verificarne il contenuto e la ricchezza.

Lo stupore più grande è riferito a quelle realizzazioni grafiche e pittoriche di bambini che pur non avendo mai visto una sola riproduzione di Kandinsky o Mirò erano spontaneamente capaci di riproporne la struttura, il colore, i moduli espressivi e l’armonia in generale.

Solo dopo aver raccolto un congruo numero di “lavoretti” non potei evitare di confrontarli e metterli in relazione con quelle di molti protagonisti della scena artistica del Novecento che misero in evidenza quei contenuti formali e informali in maniera non dissimile a questi tracciati spontanei dei bambini che sono all’origine della vita psichica.

Viste le somiglianze, non solo espressive, ma cromatiche e strutturali, e data la natura poetica delle configurazioni, ho applicato necessariamente il linguaggio e le concezioni della psicologia archetipale di C.G.Jung che si serve dei processi di simbolizzazione per descrivere l’esperienza della psiche attraverso quelle espressioni e quelle immagini, tipicamente umane, che gettano un ponte tra il mondo della mente conscia e quella inconscia.

Il progetto “Il Grande Cerchio magico dei bambini” dunque, prende le mosse dall’universalità dei segni e dei disegni dei bambini soprattutto in età prescolare, quando la giovane mente in evoluzione non è ancora condizionata dai prodotti, dagli stereotipi e dalle aspettative degli adulti.

In questo periodo si realizzano immagini di natura primitiva, istintuali ed espressive che come detto non si discostano dalle ricerche di molti famosi pittori del XX secolo, le rappresentazioni dei quali testimoniano una base comune con quelle infantili, strutturate entrambe da simboliche di chiara natura arcaica. Ogni opera infantile qui riprodotta dunque, è scaturita spontaneamente da ogni singolo bambino senza influenze “artistiche” di alcun tipo, ma solo da stati d’animo positivi.

Scarica e leggi gratuitamente il libro


Cos’è Jungmandala Infanzia

Il nostro aspetto metodologico è ispirato dai principi di base della psicologia del profondo di C.G.Jung che intravede lo stretto collegamento tra le fasi iniziali dell’esistenza e la qualità della vita futura. Dice infatti Jung: “L’infanzia è importante non solo perché da essa prendono le mosse alcuni storpiamenti di istinti, ma anche perché affiorano, nella psiche infantile, procurando spavento o incoraggiamento, i sogni e le immagini ad ampio raggio che preparano un intero destino” (1928). Si tratta di quel programma di maturazione psichica, o Sé primario, che deve essere vissuto completamente dal bambino e sviluppato al massimo grado come progetto di base.

Il Nido come contesto sociale è il luogo dove si progettano le esperienze dei bambini e dove questi si sperimentano in autonomia dalla famiglia elaborando le proprie modalità espressive. Cosa insegnerà allora un educatore? Niente, visto che si tratta soprattutto del luogo in cui l’educatore valuta, verifica e sostiene il livello di interesse, concentrazione e socializzazione del bambino attraverso le sue proposte educative tese a realizzare la partecipazione attiva e creativa del bambino. Non c’è spazio per insegnare niente. Non dunque insegnare, ma promuovere, promuovere e sostenere le forme dell’apprendimento che significa intimità, socialità, curiosità ed esplorazione. E’ l’ambiente stesso del Nido che deve suscitare curiosità e stimolare l’esplorazione. Per la famiglia, l’entrata nell’istituzione Nido segna una sorta di iniziazione, una forma cerimoniale che la coinvolge e a volte la sconvolge. Sono infatti i membri adulti della famiglia che nell’approccio al Nido necessitano di un ambientamento progettato e strutturato. Molte educatrici frettolose, non avvedendosi dell’importanza che riveste questo momento, avrebbero la tendenza ad escludere la famiglia dal delicato contesto dell’ambientamento del bambino, non comprendendo evidentemente che ad essere ambientati saranno proprio i genitori stessi.

Il ruolo dell’educatore deve saper favorire l’esperienza della separazione attraverso un rapporto di fiducia basato sulla professionalità e non certo su un’effimera “amicalità”. Il risultato di tale relazione sarà determinato dalla capacità degli educatori di accogliere comunque le istanze dei genitori che, invero, sono il prodotto dell’incontro tra emotività e bisogni. Per accogliere e contenere le possibili reazioni emotive di un genitore non c’è niente di meglio che aver sviluppato la capacità di ascolto conformemente alla capacità di essere non-direttivi e di non intervenire fuori luogo.

Sono capacità, queste, fuori dal comune, generalmente in dote a quelle persone che intravedono anche la possibilità di portare avanti un personale percorso educativo. E’ a tal proposito che la pedagogia oggi è tesa a connettersi a saperi provenienti da altre forme scientifiche come la psicologia, l’antropologia e le moderne neuroscienze, come sistemi di comunicazione per lo sviluppo dell’autonomia del pensiero libero e dei processi creativi.


Lezioni di arte moderna

Il processo dell’arte moderna si sviluppa in direzione del superamento delle forme e dei suoi contenuti per soddisfare le esigenze spirituale dell’uomo nuovo che si affaccia al Ventesimo secolo. Dopo il neo classicismo e il realismo che tentarono una riconciliazione col passato, e il romanticismo simbolista che divorò una stagione nella speranza di una rivelazione, gli artisti non hanno più eredità concettuali soddisfacenti, sono rimasti soli ad effettuare l’esperienza del mondo con i soli mezzi della pittura.

A partire dalla fine dell’Ottocento si renderà sempre più evidente che la rivoluzione industriale e le scoperte scientifiche modificheranno il modo di vivere dell’uomo che denuncerà la sua solitudine (metafisica) e la sua regressione ad ideali mitici (simbolismo) fino a cercare una soluzione nei tentativi di spensieratezza e goliardia (Art Noveau). Già prima della metà dell’Ottocento la disputa tra l’arte pittorica e la neonata fotografia aveva messo in crisi i vari movimenti artistici soprattutto a causa della messa in discussione delle forme della percezione visiva, dei suoi contenuti e dei suoi significati.

Tra questi movimenti artistici, gli impressionisti, così chiamati per il confronto con la pellicola fotografica che viene “impressionata” per riprodurre l’immagine, primeggiano nella ricerca di una nuova forma percettiva. Si tratterà di un nuovo modo di percepire il mondo che era cominciato col desiderio romantico di immergersi nell’occulto e nel mistero anche con l’ausilio di droghe come l’hashish che permettevano visioni interiori inedite.

Quando le stampe giapponesi invasero l’Europa in virtù della minaccia dell’America che voleva l’apertura dei porti, insieme al commercio ci fu un esodo di mercanzie e persone. Gli impressionisti come Renoir e Monet si lasciarono ispirare contemplando i principi estetici e concettuali di quelle stampe che li incoraggiavano a svincolarsi dalla rigida visione prospettica occidentale con le sue rigide regole di tipo ‘accademico’.

Ci fu chi, come Gustav Klimt, si lasciò ispirare dai mosaici bizantini di Ravenna e soprattutto dai contenuti estetici dell’Estremo Oriente di matrice cinese, ma per gli altri più che la seduzione esotica ciò che li spinse alla trasformazione furono quei principi che per secoli avevano sostenuto il pensiero filosofico orientale e particolarmente quello giapponese che scaturisce da una visione esistenziale aliena da sentimentalismi e da un diverso rapporto tra uomo e natura.

Soprattutto con Hokusai, Utamaro e Hiroshige gli impressionisti colsero il recupero di fugaci valori di esistenza e di subliminali attimi di vita quotidiana. Le figurazioni emergono da momenti di spontaneità, liberi da preoccupazioni temporali e convenzionali, fuori da schemi utilitaristici in cui il quotidiano viene consacrato come eternità nell’attimo fuggente. Tali concezioni verranno fruite a partire da una particolare disposizione d’animo di tipo meditativo Zen, cioè oltre il mondo apparente dei fenomeni. Questa inedita visione del mondo divenne presto un vero e proprio modello ispiratore per gli impressionisti, un’occasione per conseguire l’esperienza della realtà nella forma del conoscere e vedere in profondità.

S’è anche detto però che solo Cézanne riuscì a pieno nell’intento ristabilendo un perfetto equilibrio tra realtà interiore e realtà esteriore, “tra il farsi della coscienza e il farsi della realtà” nell’immediatezza espressiva. Non possiamo sapere con esattezza se le sue vedute del Monte S.Victoire si rifanno alle vedute del Monte Fujijara di Hokusai, ma in ogni caso, ci assicura Argan, per Cézanne l’arte non può essere sentita come tentativo di possesso, ma come pura esperienza del divenire col mondo. Anche l’occhio di Vincent Van Gogh aveva a lungo indugiato sulle stampe giapponesi per assimilarne la fascinazione prospettica e strutturale, dove la teoria spaziale della ‘piattezza’ è il vero artificio che colpì la fantasia degli impressionisti. Nel caso di Van Gogh però, è la metafora della solitudine che lo avvicinò, come forma di trascendenza, ai meccanismi narrativi condensati nella desolazione poetica giapponese.

Nel tempo il nuovo linguaggio dette vita a svariate tendenze e forme d’arte; dopo la prima guerra mondiale gruppi di dissidenti, nel tentativo di voltare le spalle a una società distruttiva e alle forme della realtà che la sostenevano, dettero vita a un “Surrealismo” oltre ogni consuetudine indicando una via per la critica della coscienza anche grazie alle scoperte di Sigmund Freud circa il lato oscuro della personalità che proprio in contrapposizione a quella stessa coscienza prese l’appellativo di “inconscio”, articolandosi in un’infinita gamma di stravaganze, allucinazioni e mondi onirici anche riferiti all’infanzia.

Quando il superamento del formalismo divulgato da Cézanne e le stampe giapponesi erano ormai lontani e Picasso ispirava la nuova pittura americana, Jackson Pollock scopriva il mondo di un “inconscio collettivo” introdotto da C.G. Jung che si stagliava oltre la sfera personalistica della natura umana, in un mondo archetipico sfuggito all’approccio surrealista ma poi recuperato da alcuni artisti. Pochi anni prima, mentre la lezione giapponese stava virando in altre direzioni pur mantenendo inalterata la propria autorevolezza, la piccola rivoluzione “dadaista” aveva diffuso il dissenso alla società con azioni pure e gratuite in cui l’idea e l’opera dell’artista vivono di per sé, dando valore a oggetti avulsi dal loro contesto abituale e programmato (ruota di bicicletta ecc.), in una maniera che ritroveremo più tardi nell’estrema negazione tematica di Lucio Fontana che riverserà la primitività sintetizzandola sulla tela.

Quella stessa concezione di immediatezza, privata però dell’aggressività, si sostanziava già nella pittura a inchiostro giapponese, che ancora una volta e con diversa modalità portò nel mondo artistico occidentale l’espressione dell’illuminazione di un istante. La pennellata dell’artista Sumi è come l’azione di un maestro di spada che per nessun motivo deve essere inibita dalla coscienza, ma scaturisce invece dal silenzio assoluto del pensiero e della mente. Questi presupposti si fecero strada soprattutto a New York, dove il segno calligrafico venne visto e vissuto come una prova dell’attività psichica, enfatizzando l’atto del dipingere (Action Painting) esprimendone tutta l’energia attraverso una virtuosità tecnica controllata capace di liberare pulsioni ripulite da ogni formalizzazione cosciente. Una dimensione, s’è detto, che non era più spaziale ma psicologica.

Col tempo, la rapidità del gesto liberatorio si convertirà nel principio di immediatezza aderendo a una dimensione più prossima all’intuizione che permea la poetica Haiku in cui vengono sintetizzati istanti di vita spogliati da qualsiasi forma di interpretazione o speculazione.

Giuseppe Capogrossi sviluppa utilizza moduli espressivi come ideogrammi per creare una continua mutazione ritmica nello spazio, come per André Masson che nello spazio sviluppa un ritmo che procede dal silenzio della mente, o come per Ad Reinhardt che utilizza la tela per negare ogni stile possibile, negando il tempo e affermando l’infinito. Così l’atto totale del dipingere si giustificherà da solo, non accettando più compromessi in una società che ha fallito, e la cui estrema espressione si rivela come provocazione. La Pop Art ci propone la manipolazione dei prodotti di massa sotto forma di arte popolare o iconografia dell’ovvietà in cui prevale l’effimero mutare dei valori artificiali.

Lezione tenuta da Raffaele Santilli presso il C.E.M.E.A. del Mezzogiorno , ottobre 1998.

Lezioni di creatività

PREMESSA

L’architetto di oggi, più che mai, deve dotarsi dei contributi culturali di varie fonti capaci di mettere insieme una rete di conoscenze per indagare e accogliere i vari linguaggi come elementi rilevanti per l’apprendimento, lo sviluppo della creatività e dell’immaginazione, contrastando così il pensiero unico e l’appiattimento della professionalità.

ESPOSIZIONE

Le arti plastiche sono caratterizzate dall’evoluzione di forma e contenuti (funzione) nello spazio. L’epoca cosiddetta moderna iniziata col Romanticismo era contrassegnata dalla tensione verso la rappresentazione mitica, la realtà invisibile delle cose dell’anima umana. In pittura, il Simbolismo ricercava il fantastico e il visionario, ma anche l’esotico rappresentò una liberazione dai vincoli del conosciuto.

Soprattutto Delacroix si fece portavoce di questo anelito di libertà che ritroviamo in Gauguin che ricercò sempre un’evasione da tutto ciò che fosse accademico. Dopo la rivoluzione impressionista vi fu una vera e propria ricerca della forma pura che ne descrivesse i contenuti primitivi e arcaici, per contrapporla criticamente alla civiltà industriale che soffocava l’individualità barattando i valori borghesi con la “perdita di se stessi”. I valori ricercati da quest’arte infatti erano la semplicità e la naturalità.

Mentre artisti come Modigliani evidenziano l’atemporalità dell’opera con esecuzioni apparentemente semplici che evocano il classico, Picasso userà la distorsione prospettica mettendo in discussione tutte le tradizioni visive tradizionali.

Ispirato dalle sculture africane e dai volumi dedotti dalla natura di Cézanne (che aveva sintetizzato l’impressionismo in una formula “classica”), Picasso geometrizzò la figura adottando un processo di sintesi basato sulla decostruzione e ricostruzione dei volumi nello spazio piano della tela con cubi grandi e piccoli in piani sfalsati ma fusi uno nell’altro che andavano a cogliere la vera sostanza delle cose, la loro verità. “Il pittore, quando deve ritrarre una tazza rotonda, sa molto bene che l’apertura della tazza è un cerchio. Quando disegna un’ellisse, quindi, egli non è sincero, sta facendo una concessione agli inganni dell’ottica e della prospettiva…” E’ come un prospetto e una pianta in architettura in cui è possibile cogliere l’oggetto nella sua complessità e interezza.

La scomposizione dell’albero da parte di Mondrian dà l’avvio a un ulteriore passaggio verso l’astrazione della forma attraverso la riflessione filosofica. L’armonia perfetta tra verticale e orizzontale viene derivata secondo Mondrian dall’armonia interna alla natura. Si tratta di scorgere la “struttura” o ossatura archetipale della sostanza del mondo materiale per dedurne l’aspetto spirituale, ignorando particolari dell’apparenza. L’angolo retto si fa relazione primordiale degli estremi. Tutto è in relazione con tutto.

Il messaggio correva in parallelo anche con l’architettura di LeCourbusier e Theo Van Desbourg. Successivamente certi architetti hanno sentito la necessità di indagare sull’origine dell’architettura così come i pittori dei primi del Novecento avevano indagato sulla purezza attraverso la riscoperta del primitivo. Venti anni fa Bruno Zevi ci faceva notare come l’accademismo ha sempre voluto ignorare sia la preistoria che l’edilizia popolare, continuando a prendere le mosse dalla civiltà greco-romana e dal Rinascimento. Alcuni architetti però si interrogano sulla genesi della loro azione creativa ed evitare la sclerosi. Visto che il repertorio degli stili sembra di volta in volta precluso, con quale linguaggio si può esprimere oggi un architetto?

La sfida consisterebbe nel liberarsi dalla schiavitù del conosciuto e dalle abitudini per raggiungere il “grado zero” che ci riporta alla forma prima della forma, all’immagine “non documentabile della capanna primitiva, presunto ‘seme’ dell’architettura”.

Anche Mario Botta, nell’affrontare il problema della casa, affronta indirettamente il problema dell’abitazione primitiva: “Mi confronto con l’idea stessa della caverna”, con il bisogno primario del proteggersi, ma anche come luogo d’identità e di memoria, di eredità di pensiero e di cultura. Sembrerebbe allora fondamentale per i neo architetti l’apprendimento del pensiero e della cultura di chi ci ha preceduto (e così si torna all’origine del discorso in PREMESSA.

E poi ci domandiamo con Botta: In questa pluralità di linguaggi, una forma semplice è ancora capace di resistere?

Lezione tenuta da Raffaele Santilli presso la facoltà di Architettura di Roma, dicembre 2019.


Borgo di Nova Siri

Casa Vacanze

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“La Terrazza”

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Via Galliano 6, Nova Siri Paese (Matera)



La poetica bellezza di un luogo preservato dall’inutile rumore e regalato a spiriti contemplativi capaci di intuirne l’itinerario simbolico alla scoperta di un mito interiore.

Galleria fotografica :



La Siritide lucana


UN ALTRO TURISMO: La Basilicata

La Basilicata si adagia prevalentemente sul Mare Jonio stretta tre la Puglia e la Calabria. Il suo nome, derivato probabilmente da un termine tardo bizantino (XI-XII sec. d.C.) che vuol dire “regale” o “imperiale” (Basileùs) è quello di una regione che nel tempo è andata restringendosi da quando ancora era denominata Lucania, termine di oscura etimologia riferita a parole come “lupo”, “bosco sacro” o più probabilmente a “luce”. In epoca preromana si estendeva infatti dal Tirreno del Cilento alla costa jonica di Metaponto fino all’attuale Cosenza. Nel corso della storia fu smembrata dalle dominazioni Longobarde, Saracene, Bizantine e Normanne perdendo i suoi antichi confini e il suo nome d’origine.

L’attuale Matera, dominata dall’antico complesso abitativo dei “Sassi” è tra le città abitate più antiche del mondo; le sue costruzioni e le architetture rupestri scavate nella roccia della Murgia e abitate fin dalla preistoria sono organizzate in due grandi blocchi denominati Sasso Caveoso e Sasso Barisano. La città fu separata dalla terra di Otranto nel 1663 e in seguito assimilata al Regno di Napoli nel 1806 come capoluogo della provincia di Basilicata. Nel 1993 i Sassi sono stati dichiarati Patrimonio dell’umanità UNESCO, e nel 2019 la città di Matera è stata consacra a Capitale della Cultura in Europa.

Nel 1935 il pittore e scrittore Carlo Levi trascorse un lungo periodo di isolamento politico a Grassano ed Aliano, condannato al confino a causa delle sue idee antifasciste. Il suo libro “Cristo s’è fermato ad Eboli” è una testimonianza di quel periodo che trascorse “come un viaggio al principio del tempo… fuori della storia e della ragione…” e descrive la tragica realtà della situazione meridionale del periodo, e le sue esperienze di vita del proprio esilio. – “Cristo non è mai arrivato qui, non vi è arrivato il tempo…” E di fatto, al di là della cittadina campana di Eboli si fermavano la strada e la ferrovia, giungendo nelle terre aride, desolate e dimenticate della Basilicata del 1935.

Siritide e Nova Siri

La Siritide è avvolta da un’aura compresa tra mito e storia. Come tutta la Lucania è stata terra di nessuno per molti anni, ma gli eventi che riecheggiano quel mito ci mostrano come lungo le coste ioniche, in tempi diversi si riversarono varie popolazioni dal Mediterraneo orientale andandone a formare la storia.

Seguendo il dubbio etimo dell’antica parola Siris (Nova Siri) troviamo, oltre il mito allucinatorio delle Sirene, anche il semitico “sir” (canto magico) o il greco “séirios” (incandescente). Nella spiegazione di certe tradizioni locali si cela infatti la frequentazione ellenica, cioè micenea, in determinati siti e territori. La presenza micenea è attestata ad est, dalla Puglia alle foci del Po, e sul versante tirrenico dalla Campania fino la Toscana passando dal sud dell’Etruria.

L’antica città di Siris viene fatta risalire, o a una colonia fondata dai profughi scampati allo sterminio di Troia intorno all’ottavo secolo a.C., o a un complesso di villaggi uniti territorialmente e politicamente dai greci nella seconda metà del V secolo a.C. in prossimità del fiume Siri (l’attuale Sinni), che nel corso del tempo divenne un’importante colonia capoluogo della Magna Grecia.

La presenza romana nel territorio, soprattutto come accampamento militare (Castrum Boletum), è testimoniata dalle terme che si trovano in Contrada S.Alessio, un complesso di vasche comunicanti collocato a ridosso del torrente Toccacielo, e dall’altro complesso termale di Cugno dei Vagni, edificio pubblico appartenente ad un antico villaggio avente una necropoli risalente al I-III secolo d.C.

Durante il Medioevo l’antica Boleto romana, che rientrava entro i confini calabresi, si sviluppò sul colle roccioso come borgo (Nova Siri Paese) intorno al Castello bizantino del 1.100 sul punto più alto del paese da dove si domina il golfo di Taras (Taranto) e nel quale si sviluppò quello che ancora oggi è il centro storico ridefinito dai Normanni, dalla dinastia Sveva e come feudo da quella Angioina. Nell’Ottocento il paese venne assegnato alla neo Basilicata e fu sede di sette carbonare come “La Giovane Italia” e nel 1872, con decreto di Vittorio Emanuele II, Boleto o Bollita cambiò definitivamente il nome in Nova Siri, oggi risorsa agricola e meta turistica.

Attualmente l’antico borgo di Nova Siri, ultimo dei Comuni del tratto lucano della costa sud in provincia di Matera, si sviluppa su dolci rilievi collinari, e consta di poco più di seicento abitanti, alcune botteghe alimentari e alcuni bar. Vi sono dislocate molte case abbandonate e solo poche ristrutturate o ben tenute. Un torpore atavico, quello di Nova Siri, che beninteso ha fatto sì che nel tempo rimanesse fuori proprio dai circuiti del turismo di massa che ne avrebbero alterato l’identità, quella rurale-contadino e di isolamento, un genius loci che all’oggi viene esaltato come manifestazione ed espressione di itinerario esistenziale intrinseco a questa regione edenica e acquisirne così un nuovo orientamento e un nuovo privilegiato punto di vista.

All’orizzonte di questo “spirito del luogo” si staglia la poetica di quel “Turismo lento” che intravede nella Siritide una delle Terre del Silenzio; un silenzio mitico e filosofico che restituisce, nel suo paesaggio più che mai interiore, la bellezza esteriore dei suoi luoghi preservati dall’inutile rumore del mondo e da un turismo di massa nocivo ad essi. A questo va aggiunto il significativo riconoscimento del Ministero dei Beni Ambientali e Culturali che inserisce il borgo di Nova Siri nell’asse strategico degli itinerari turistici emozionali denominati “Viaggio al cuore della vita” e tra i più bei borghi storici marinari.

Nova Siri, per la sua naturale propensione diventa meta simbolica per un turismo di qualità, itinerario esistenziale, contemplativo e naturista. Il clima è buono e la vista è stupenda, e tutto intorno vengono offerti scorci spettacolari, come l’arroccato paese di Rotondella, dominati da una stupenda campagna e dal mare Ionio della Puglia tarantina fino alla Calabria.

La Marina, centro cittadino di recente costruzione, è raggiungibile da una strada provinciale che attraversa le Contrade San Megale e Cerrolongo coltivate ad agrumi e vigneti di eccellente qualità, e si adagia nella piana metapontina quasi a ricordo della secolare Siris, l’antichissima colonia della Magna Grecia che dominò a lungo nel golfo di Taras (Taranto). Qui si possono scorgere sconfinate spiagge di sabbia dorata lambite da un mare, lo Ionio, tra i più puliti dell’intera penisola italiana.

Oltre alle ricchezze archeologiche della costa (per esempio Policoro-Heraclea e Metaponto), l’entroterra tutto ci stupisce per i suoi luoghi dell’incanto ancora a oggi sconosciuti. Tra questi, un esempio è il Santuario della Cattedrale di Anglona tra i più antichi della regione, residuato di una città, Pandosia, fondata degli Enotri molto tempo prima di Roma.