Tutte le forme fisse di pensiero e i sentimenti ad esse associati sono tentativi della mente di afferrare sé stessa e il senso del suo esistere. Tali forme del pensare e del sentire astraggono dall’esperienza e la impediscono. Lo Zen ci mette nelle condizioni di non prendere posizioni, di disapprendere e dimenticare ciò che confonde, abbandonando tutte le ideologie e le forme fisse di pensiero.
Il mondo è come sempre è stato, mentre la nostra mente è soggetta a continui mutamenti e particolari trasformazioni. L’uomo intero, la somma dei suoi elementi psichici consci e inconsci, formano il Sé; questo costituisce un’immagine dello scopo della vita prodotta spontaneamente. È questo di cui l’uomo dovrebbe essere cosciente; è questo che l’uomo dovrebbe celebrare: la conoscenza della sua propria vera natura.
I dati sensoriali che costituiscono la nostra esperienza immediata della realtà sono immagini psichiche simultanee all’esperienza stessa. Noi tutti siamo talmente avviluppati in immagini psichiche che ci è impossibile andare oltre nella ricerca dell’essenza delle cose fuori di noi.
Tutti gli aspetti della realtà conosciuta procedono dalla mente come imitazione esteriore delle immagini psichiche. È come se l’istinto avesse un ricordo di sé e si riconoscesse, nella sua auto-rappresentazione, attraverso le forme create. È questo che si intende per illusione e realtà. Le forme create non sarebbero illusorie se non ci si identificasse con loro.
I condizionamenti che ci vengono imposti producono atteggiamenti che derivano dal modo in cui la coscienza è stata influenzata ad interpretare la realtà. Fin da bambini infatti, i modelli già subiti dai genitori e dalla stessa società in cui ognuno è contenuto si insinuano nella psicologia dell’individuo il quale giudicherà e valuterà le cose dal suo ristretto punto di vista.
Il Buddha lasciò detto che qualunque cosa frequentemente si pensi o si desideri, quella diventerà l’inclinazione della propria mente.
L’Advaita Vedanta dice: “Se la mente non riconosce ciò che produce, cade preda delle sue stesse produzioni”.
La mente individuale è la limitata coscienza personale imprigionata tra le coppie dei contrari, e pertanto è portata a pensare alla mente come a qualcosa di separato da conseguire o conoscere. Quando nello Zen si parla di “trasmissione della dottrina della mente”, si potrebbe pensare che vi sia qualcosa che debba essere appreso o realizzato in modo distinto dalla mente, e pertanto si userà la mente per cercare la mente, non riconoscendo che la mente e l’oggetto della sua ricerca sono una sola cosa. Questa mente è anche umana ma non appartiene all’uomo. ”Come si potrà usare la mente per cercare la mente?” – chiese un allievo al maestro. Al ché questo risponde: “Buddha non ha mente”.
Ogni fenomeno è la manifestazione di ciò che è, così com’è. Ogni fenomeno ha in sé la natura reale, la vera forma di ciò che è; pertanto ciò che viene realizzato è questa natura che è stata con noi per tutto il tempo, così che non si ha da aggiungere nulla a ciò che già c’è. Ogni cosa è interna alla mente e ogni raggiungimento di qualcosa era già compiuto fin da principio. Solo la coscienza lo scorge per la prima volta. Ogni scoperta infatti non ha niente a che fare con la fatica fatta per trovarla. Poiché ogni cosa è interna alla mente, è sempre la mente che rincorre la mente. Questa mente è la nostra natura reale che non perderemo mai, neanche nei momenti di smarrimento.
Chiese un allievo al maestro: “Nello Zen, questa mia mente è Buddha. Giusto?” – Rispose il maestro: “Se ti dico di si, tu crederai di capire senza aver capito; se ti dico di no, negherei un fatto che molti capiscono benissimo”.
Noi non vediamo le cose come sono, ma come crediamo che siano, cioè come le conosciamo con il nostro ristretto punto di vista, con una ricettività che nell’atto di conoscere deforma il nostro stesso mondo.
Un certo monaco buddhista diceva che generalmente l’illusione è pensata come una falsa conoscenza, ma in realtà, sosteneva, non è proprio così; l’illusione è non-conoscenza, è ignoranza. Quando non si conosce nemmeno la propria mente, come è possibile conoscere ciò che la mente conosce? Non conoscendo la propria mente, cioè non conoscendo ciò che la mente conosce, come si può conoscere altro?
Poiché la realizzazione esiste a priori, il maestro Dōgen può affermare che le condizioni necessarie per il risveglio del sentimento dell’illuminazione non vengono da qualche altra parte, è la mente stessa che risveglia nell’uomo il sentimento e il pensiero dell’illuminazione in virtù di quella meravigliosa qualità interiore che è la sua naturale chiarezza originaria.
La “Mente di Buddha” significa che nella struttura profonda della mente umana, così come palesemente lo è del corpo umano, siamo sostanzialmente tutti uguali. La condizione umana e la mente stessa, non ci pervengono dall’esterno come invece le impressioni sensoriali. La mente è originariamente pura, ma se le nostre azioni sono condizionate da calcoli di convenienza, perdiamo il contatto col vero cuore dell’essere.
L’idea che la propria mente dovrebbe essere coltivata non è sempre ben accettata. Generalmente si pensa che la mente dovrebbe badare a sé stessa così com’è.
Il silenzio è la condizione naturale originaria della mente, uno stato dell’essere difficile da conoscere e che viene descritto come qualcosa di dimenticato e perduto, ma che deve essere ritrovato mediante un certo sforzo cosciente.
Basterebbe astenersi anche dalla più piccola delle attività mentali per comprendere cosa si nasconde dietro alla mente. Si comprenderebbe allora, che la mente si modifica in risposta alle circostanze esterne e che di per se stessa essa non esiste come la pensiamo. Per comodità pensiamo alla mente come a un’entità autonoma, chiamandola intelletto, ma questo è solamente un susseguirsi di stati mentali che avviluppano sempre di più l’individuo che rimane imprigionato da se stesso.
Le male passioni sorgono dalla mente, ma se non abbiamo mente, quale male passioni possono insorgere? Non avere mente però non significa essere completamente stupidi, significa invece non inseguire le male passioni.
La realtà della vita impersonale dell’anima è uguale dappertutto, pertanto ogni cosa, così com’è, manifesta e vive il suo vero modo di essere fondamentale.
In definitiva lo Zen ci induce alla chiara visione, a vedere le cose come sono veramente, e non come vorremmo che fossero e come le immaginiamo con la mente convenzionale. “Se capisci, le cose stanno così. Se non capisci, le cose stanno così”.
Il pensiero è sempre vecchio, appartiene ai ricordi, al passato, come reazione della memoria; ne è la risposta. Nel presente non c’è pensiero, c’è il puro presente, pura libertà. Questa libertà, nel buddhismo, viene detta proprio ‘non-pensiero’.
Il valore della nostra esistenza è già in noi, nella forza della vita che è completamente oltre i nostri semplici pensieri; questi provengono da noi ma non sono nostri. È la forza della vita che mette tutto in relazione.
L’Io personale, il “me stesso”, è una realtà del caso, relativa alla sola esperienza personale; esso è privo di filo conduttore perché insegue solo i sogni e le illusioni. Il Sé non è individuale ma lo si vive individualmente; esso dirige la vita dell’uomo con un disegno universale nella più ampia prospettiva possibile e ricercando la forma più raffinata di vivere l’esistenza, trascendendo l’Io personale e i suoi desideri effimeri, poiché dietro l’Io, che è cosciente solo di sé, la vita continua oltre lui.
Lo Zen vuole riportare alla luce le qualità originarie della nostra mente. Per fare questo è necessario addestrarsi alla disciplina al fine di eliminare le irregolarità della mente personale.
Troppo spesso si perde di vista la realtà della vera vita, offuscandola con pensieri e sentimenti che traggono origine dalla propria piccola mente personale.
Quando si sente dire che gli antichi maestri trasmettevano la Dottrina della Mente, si potrebbe credere che vi sia qualcosa da ricercare esternamente, qualcosa da conseguire o realizzare in maniera distinta dalla mente; allora si usa la mente, senza capire che la mente e l’oggetto della ricerca sono una cosa sola.
Non si può trovare la vera pace della mente se non si vive la realtà della vita del Sé, dal momento che il Sé è il fondamento della nostra mente come della nostra vita.
La mente del Buddha non è la mente del cervello, ma è la mente universale dell’inconscio dell’umanità. Per questo è possibile ritrovarla anche nella propria mente personale, quando questa cessa di essere ossessionata da se stessa, ed è per questo che Hui Neng affermò che il vero Buddha deve essere trovato nella nostra mente. L’idea che questa mente è Buddha, fu sviluppata attraverso i maestri dello Zen cinese. Huang Po infatti sosteneva che tutti i Buddha e gli esseri senzienti non sono altro che la Mente Unica, all’infuori della quale non esiste nulla.
La saggezza è vedere che non c’è nulla da cercare. La realtà che incontriamo non è davvero separata da noi. Non c’è distinzione tra noi e il mondo circostante. Lo Zen prende le mosse dalla non-distinzione che è il modello fondamentale di tutto ciò che vuole vivere.
Qualunque cosa si faccia nella vita, se la propria esistenza è chiusa alla sola dimensione umana non potrà mai essere soddisfacente. Questa vita è costantemente immersa nel sentiero universale che è come la natura, con i suoi venti, le piogge e la risacca del mare, che va e ritorna indipendentemente da chi sta lì a guardare. Allo stesso modo la mente universale, che è il fondamento della nostra coscienza è sempre presente, alla base della nostra esistenza, anche quando lo ignoriamo.
La coscienza che conosciamo con la nostra piccola coscienza non è la coscienza del Buddha. Tale coscienza non deriva da stimoli esterni, ma è pura consapevolezza senza oggetti, che non si preoccupa dei risultati, ma realizza se stessa senza strumentalizzare niente e nessuno.
In questo nostro sogno non sappiamo se il conoscere non sia invece un non-conoscere e se il non-conoscere non sia invece il vero conoscere.
La mente dello Zen è come la mente libera di un bambino o di un principiante, che non danno nulla per scontato. L’apparente negazione del mondo della coscienza da parte dello Zen è solamente un espediente per riconoscere la vera vita, per affermarla e viverla senza darla più per scontata.
Solo perché la nostra mente concepisce un ‘prima’ e un ‘dopo’, non è detto che le cose si debbano uniformare ad essa.
Tutti gli orgogliosi sentimenti che ingigantiscono l’Io, non fanno che bloccare l’individuo in uno spazio intermedio tra il pensiero e l’azione, tra la realtà e l’illusione, tra il cielo e la terra.
Tra il ‘fare’ e l’essere coscienti di ‘fare’ c’è l’abisso, l’infinito vuoto. In un caso la coscienza è dominata dall’ignoranza, nell’altro dalla consapevolezza.
Per quante cose affascinanti possiamo trovare all’esterno, le vere immagini ci sono interne. All’esterno nulla ci può garantire la felicità. L’essere non dipende da possedimenti esteriori. Il vero tesoro si trova nell’uomo e deve essere posseduto consapevolmente, e a niente serve cercarlo all’esterno. Lo Zen è un metodo individuale attraverso il quale quel valore possa assumere una forma.
Il mondo è come è sempre stato, ma non la nostra coscienza che è soggetta a continue influenze e particolari trasformazioni.
Il mezzo con cui la mente giudica e osserva è la mente stessa. Così l’osservatore è l’osservato e l’oggetto è anche il soggetto. La mente, pur essendo l’oggetto di osservazione e di valutazione, costituisce nel medesimo tempo il suo soggetto, il mezzo con cui si eseguono le osservazioni.
Attraverso la consapevolezza si rende noto che la separazione tra soggetto e oggetto, tra osservato e osservatore è puramente astratta. Mente ed esperienza non si distinguono. Nell’esperienza non vi è un oggetto da afferrare e un soggetto che afferra. Niente confligge, poiché l’alterità è un’illusione. C’è solo il processo costante di un divenire senza tempo.
Obaku diceva: “Nulla nasce e nulla viene distrutto. Basta con il dualismo, con le simpatie e le antipatie. Ogni singola cosa è precisamente la Mente Unica”.
I concetti sono relativi ai sensi; quando ha luogo una sensazione la saggezza viene elusa.
Non avvertendo i processi interiori che spontaneamente vanno e vengono come la risacca del mare, la coscienza rischia di dipendere negativamente dalla forza energetica delle immagini mentali che sorgono scambiandoli per contenuti propri, rimanendone profondamente influenzata.
Conoscere se stessi significa conoscere i processi immaginativi che dall’inconscio affiorano alla coscienza. Quando la coscienza vi si identifica scambiandoli per contenuti propri si verificano le illusioni. Quando la coscienza li riconosce come contenuti dell’inconscio si verifica l’illuminazione.
Dando per scontate le cose, la coscienza cade nella routine, perdendo la capacità di discernimento, comprensione e scelta; ne resta cioè dipendente.
Tempo e realtà appartengono alla propria soggettiva immagine del mondo. Essi sono il prodotto dei nostri apparati di ricezione. I continui mutamenti di questa realtà sono percepiti come ‘tempo’ dai rispettivi individui.
Nell’indagare la realtà della mente, molti continuano ad usare la mente, col risultato che il soggetto si allontana sempre più dall’oggetto dell’indagine. Tale procedimento mentale sembra talmente normale che la nostra mente si è modellata su questa convinzione senza avvertirne l’incompletezza. Per lo Zen la conoscenza è sempre necessariamente legata alla conoscenza di se stessi.
Non è il mondo dei fenomeni ad essere un problema, ma come la nostra mente si rapporta e reagisce al mondo dei fenomeni.
Buddha non è solo la nostra mente, ma è anche il nostro corpo. Buddha è un Sé unitario.