Influenzati dalle ricerche di Freud e Jung, e dalla cerchia di quegli scrittori che avevano spostato la loro attenzione dalla società all’indagine sulla natura della coscienza, gli artisti del secondo dopoguerra americano ed europeo si resero conto ben presto che per affrontare le loro incertezze e frustrazioni, i loro riferimenti filosofici e artistici dovevano addensarsi su quegli stessi presupposti psichici che più tardi li avrebbero introdotti alla conoscenza del pensiero orientale.
La loro utopica ribellione aprì la strada a nuove possibilità, nuove idee, nuove forme di vita e nuovi modelli di pensiero, i valori dei quali, passando attraverso la controcultura si riscontrano nell’attuale pensiero diffuso.
Viene ricostruita così la sintesi di quella forma di ribellione pacifica pilotata dalla poetica di Ginsberg e Kerouac, passando dal Jazz e
dall’avanguardia artistica del Novecento fino a coinvolgere il movimento giovanile degli anni Sessanta e Settanta, il Rock in tutte le sue
forme e includendovi la ricerca spirituale che passò soprattutto dallo Zen. Questi uomini, questi artisti, stanchi del contrasto delle opinioni,
facevano pertanto riferimento a ogni forma di cultura alternativa pur di investigare, stimolare la coscienza, gettare uno sguardo in profondità e fare personalmente l’esperienza di come stiano realmente le cose per liberarsi dai vincoli del mondo conosciuto, dal dolore e dalla frustrazione e ritrovare il significato della vita.
“Quando conobbi Allen Ginsberg nel 1979 al Festival dei Poeti a Castelporziano con lui c’erano Gregory Corso, Peter Orlowsky, Lawrence Ferlinghetti e il vecchio William Borroughs. Mancava solo Jack Kerouac che era morto dieci anni prima.
In quell’occasione Ginsberg mi scrisse una poesia su un foglio di carta rimediato; la poesia cominciava con “Blue moon…” e non ricordo di più; ricordo invece che mi fu sottratta quasi per errore dalla ragazza che mi accompagnava e che non sapeva neanche chi fosse Allen Ginsberg”.
“Qualcuno ha detto che il movimento giovanile degli anni Sessanta ha cambiato la cultura umana. Le premesse di questa nuova generazione erano state poste con la cultura underground a partire dalla chiara concezione che il sistema di vita occidentale americano aveva fallito e che per risensibilizzare la percezione e restituire alla coscienza una nuova visione liberata dagli stereotipi c’era bisogno di un antidoto”.
(“C’era una volta un ribelle”, Raffaele Santilli, ed. Anicia, Roma, 2019, pag. 70)
“La scena underground e della controcultura stava tramontando, ma i temi della frustrazione e del dolore, così denunciati dai giovani degli anni Sessanta e Settanta sono ancora presenti oggi, ma quella stagione ha portato con sé i segni di una nuova consapevolezza che oggi apparentemente sembrerebbe andata perduta. – In quegli stessi anni si fece sempre più chiaro che quei temi della frustrazione e del dolore, tanto sentiti dai giovani e tanto temuti dagli anziani, sono stati da sempre i temi di base della dottrina religiosa buddhista”.
(Ibid. pag. 110)
“Il ribelle di oggi non può che essere colui che realizza in sé stesso la saggezza. La vera eredità della cultura della ribellione è, oggi più che mai, una rivoluzione totale che include in maniera creativa e costruttiva la saggezza del proprio fallimento come un pieno successo, nell’aprirsi a nuovi mondi di senso”. (pag. 150)