Nella tradizione tibetana, il mandala è a un tempo stesso una sintesi dello spazio, un’immagine del mondo e la dimora di potenze divine, quindi la manifestazione in forma di diagramma, di perfette qualità come la compassione, la saggezza e l’energia spirituale; questa rappresentazione è capace di condurre chi la contempla, se si sono ricevuti i necessari insegnamenti, a una progressiva purificazione mentale e al Risveglio. La costruzione del mandala inizia tracciando forme geometriche ben precise che vengono poi ricoperte in ogni piccola parte con sabbie finissime di diversi colori; è essenzialmente sul piano estetico, una struttura quadra orientata provvista di quattro porte contenente cerchi e fiori di loto, popolato di immagini e simboli divini. (…) Prima di iniziare la costruzione i Lama procedono ad un rito di consacrazione del luogo operando la purificazione delle energie negative presenti; alla fine della costruzione, con un altro rituale, il mandala viene disfatto, a simboleggiare l’impermanenza dei fenomeni composti e la negazione dell’auto-esistenza. Le sabbie vengono poi mescolate sul piano dove erano state ordinatamente posate granello per granello, raccolte e messe in un recipiente per essere versate in un corso d’acqua oppure donate.
I monaci del monastero di Gaden Jangtse (Mundgod – India) costruiscono il mandala di Avalokiteshvara “Il Buddha della Compassione” – Roma – Galleria A.Sordi; 8-18 giugno 2007 – Cerimonia di chiusura con la distribuzione delle sabbie.