Il fenomeno culturale denominato “japonisme”, la produzione delle arti giapponesi, fu all’origine del movimento Art Nouveau e dell’Impressionismo a partire da metà Ottocento, protraendosi per più di due generazioni di artisti in un confronto continuo rielaborato dagli artisti della scena parigina. Se da un lato questo confronto non supererà il puro decorativismo, dall’altro fu l’inizio di una vera rivoluzione culturale grazie alla quale l’Occidente poté recuperare dei valori estetico-artistici attingendo nuova linfa alla ricerca della purezza d’espressione.
Renoir aveva detto: “L’Impressionismo ha liberato la pittura dall’importanza del soggetto. Se fossi vissuto ai tempi di Luigi XIV, io sarei stato obbligato a dipingere soltanto determinati soggetti. Oggi io sono libero di dipingere fiori semplicemente chiamandoli fiori, senza dover raccontare con essi una storia”.
Una dichiarazione questa, che sembra sintetizzare tutta la concezione dell’Arte moderna. E di fatto gli artisti per secoli sono stati al servizio di nobili committenti, ricchi signori, borghesi, mercanti, Papi o Re, sempre attenti al rapporto tra potere e arte e tra arte e società, sempre costretti a rivedere le loro impostazioni stilistiche in rapporto alla commissione concessagli e alla tendenza filosofico-religiose che sempre determinano anche la forma, il linearismo grafico e il peso del colore.
Nel Gotico internazionale ad esempio, quello a cavallo del 1400, le caratteristiche principali erano l’atmosfera descrittiva e fiabesca tendente alla descrizione evocativa e le linee ininterrotte e flessuose soprattutto nel panneggio che deve nascondere il corpo.
Il cammino dell’arte occidentale è un cammino che porta a precisare sempre più gli aspetti del realismo, inteso come mondo esteriore e posizione dell’uomo all’interno di questo stesso mondo e con il modo di osservarlo, fino a soggiacere al potere della scienza che ne riduce il senso dell’esistere limitando sempre più il suo rapporto con la natura. Ed era questo rapporto positivo e fascinoso che animava l’arte di un Van Gogh che attraverso le luminose stampe giapponesi immaginava il modo di vivere di quegli artisti, idealizzandolo come un ascetico rapporto con la natura che lui credeva di poter ritrovare nella placida Provenza. In una sua lettera a Bernard del 1888 infatti scriverà entusiasticamente che il paesaggio intorno ad Arles dove si era stabilito aveva un’atmosfera limpida come in Giappone, dove “le acque fanno delle macchie di un bello smeraldo e di un blu sontuoso nei paesaggi…”
Il manifesto surrealista del 1924 fu un tentativo di riconciliare l’artista con la natura tramite il cosiddetto “automatismo psichico” per recuperare il “funzionamento reale del pensiero al di là di ogni preoccupazione estetica o morale”. Fuorviato e trascinato nel baratro da due guerre mondiali e da tutte le problematiche sociali possibili, il vagheggiamento degli artisti intorno al ‘primitivismo’ non aveva trovato una vera sintesi tra il “principio della comprensione”, cioè il contenuto significativo di un’opera, e il suo “principio estetico”. Il conflitto tra l’aspetto formale e l’aspetto contenutistico può annullare il valore di un’opera, poiché né l’uno deve essere sopravvalutato né l’altro può essere mortificato. Secondo C. G. Jung infatti “occorre sottolineare il pericolo di queste due deviazioni, perché la sopravvalutazione delle raffigurazioni create dall’inconscio, a partire da un certo punto dell’evoluzione psichica, è di solito assai grande, a causa della precedente, altrettanto eccessiva, sottovalutazione dei medesimi prodotti”. (Jung: La funzione trascendente, 1957)
Il nesso tra ‘contenuto’ ed ‘estetica’ può sviluppare e raggiungere la sua sintesi attraverso la sospensione dell’abituale attività della mente conscia per coincidere col continuum psichico che essendo al di là della dimensione spazio-temporale può stabilire quello “stato di grazia” che da sempre gli artisti e i mistici perseguono. Questo stato in cui si viene trasportati oltre sé stessi è come un corso d’acqua che ritrova sempre una via di scorrimento, e viene perciò giustamente definito “flusso”, l’esperienza di picco (peak experiences) che è una delle condizioni più elevate dell’intelligenza emotiva (Goleman) in cui la libera emozione viene incanalata verso il raggiungimento di un fine creativo e produttivo.
L’esito finale della pittura moderna cominciata con l’automatismo del surrealismo portò alle estreme conseguenze i presupposti di una libertà e di un sentimento soggettivo del presente con il loro rapporto con la vita, che vedono la loro espressione più diffusa attraverso quello che in maniera imprecisata viene chiamato l’espressionismo astratto americano, che corrisponde anche alla fine del sogno americano e all’affermazione del potere del consumo.